Prima della parte II, dovresti leggere l’articolo precedente (la parte I per capirci) che trovi qui.

Ho tentato di immaginare cosa sia un ambiente, e come ambiente e organismi abbiano una storia d’amore ed odio, di abbondanze e privazioni. Sono intrecciati tra loro in una fittissima ragnatela di interazioni e relazioni.

Vorrei allora utilizzare la metafora degli alberi, anzi dei piccoli e meravigliosi bonsai per afferrare meglio cosa sia la personalità.

Un vecchio detto popolare recita “l’albero si raddrizza quando è giovane”.

Spiega tutto senza spiegare niente.

(l’immagine è presa da qui)

Cosi come espresso nella prima parte, resta fermo il concetto che “nessun organismo può svilupparsi al 100% delle sue possibilità”. E i motivi sono i medesimi della prima parte.

Come è possibile spiegare la personalità a partire dagli stili bonsai (stili giapponesi, non cinesi che di fatto non hanno stili)?

Guarda, ed inizia a fare due fantasie:

E’ evidente che il sig. bonsaista, abbia proposto graficamente e quindi abbinato un determinato stile ad una determinata condizione.

Domanda: i giapponesi nei secoli hanno copiato prima e perfezionato poi l’arte di far vivere alberi in vaso.

Ma cosa rappresentano? L’idea di base è quella di rappresentare un’essenza (ovvero il tipo di pianta) come se fosse nel suo ambiente naturale e quindi esposto a tutti i fenomeni atmosferici ed ambientali dell’ambiente:

e via discorrendo.

L’idea di base è che l’albero debba essere (o in molti casi sembrare) molto, molto vecchio. Più l’andamento è “sofferto” maggiore sarà il suo fascino.

“Chiunque si trovi davanti ad un bonsai, dovrà provare lo stesso senso di magnificienza che proverebbe dinanzi ad un albero secolare in natura”. (cit. : un vecchio bonsaista vicino di casa). Ecco alcuni straordinari esempi.

Tronchi scortecciati, rami che si indirizzano solo da un lato invece che espandersi in ogni direzione.

Chiome piccole, cosi come piccoli sono i vasi.

Come dicevo sopra, sono rappresentazioni di situazioni naturali, che tengono conto di diversi fattori, che vanno dall’essenza, all’ambiente di provenienza, allo stile, al vaso.

Quale parallelismo esiste allora tra i bonsai e la personalità?

Beh… se diamo per buona l’ovvia idea che siamo organismi che vivono in un ambiente, diventa di semplice intuizione che gli organismi influenzano l’ambiente, che a sua volta influenza gli organismi. In un ciclo perenne di interazione.

Immaginamo ora che gli eventi naturali a cui sono sottoposti i nostri cari alberelli, siano metafore di altrettanti eventi avversi dove quelli influenzati però, siamo noi: possono essere eventi costanti e pressanti, come il vento costante che costringe i rami a crescere solo da un lato, oppure la scarsità di nutrimento che impone un’economia nella crescita generale, oppure eventi improvvisi e violenti come fulmini, incendi, rami o cime che si spezzano.

Ecco. Immagina ora che siano metafore della vita comune: un ambiente più o meno disfunzionale (qualunque tipo di disfunzione), inevitabilmente costringe la persona a crescere con una determinata forma, limitando scelte, interazioni e progettualità.

Pensaci un secondo: un albero la cui cima viene spezzata da vento e neve, non cresce e non si sviluppa. Potrebbe seccare. Ma una delle cose meravigliose è che gli alberi nel loro essere alberi, decidono di sacrificare un ramo e trasformarlo in un nuovo apice. Certo sarà brutto (o meglio meno bello e armonioso)

Gli eventi improvvisi possono essere lutti, abusi, separazioni, abusi e via discorrendo. In un modo o in un altro creano segni e cicatrici, non nel corpo ma nell’anima.

Capiamoci su una cosa: non smetti di far crescere dei rami su un lato del tuo tronco, per una singola folata di vento: in base alla forza con cui vieni colpito è lecito immaginare che un ramo possa spezzarsi, o magari a spezzarsi è tutto il tronco. Ma per far si che ci sia una modifica “adattiva” all’ambiente, è necessario che il vento sia costante, o comunque “molto spesso presente”. Diversamente non avresti motivo di fare ciò.

Eventi costanti e ripetuti nel tempo, nei giorni, nei momenti.

Cosi come funziona per certe falene: in alcune specie le femmine di falene sono incredibilmente meno numerose degli esemplari maschi. Questo fa si che ogni maschio abbia sviluppato un “olfatto” talmente raffinato da riuscire a percepire l’odore di una femmina a km e km di distanza. Con conseguenti km e km percorsi per sperare in un accoppiamento. Questo esempio ci conduce verso questo passaggio logico: pochi esemplari femmina portano allo sviluppo di una capacità olfattiva ben al di sopra delle altre specie di falene. Avrebbe avuto senso sviluppare un olfatto cosi incredibile, se nel loro ambiente gli esemplari maschi avessero a disposizione decine di femmine pronte all’accoppiamento?

Darwin dice che un esemplare che a causa di una fortunata mutazione si sia ritrovato con questo potere, avrà avuto maggiori possibilità di riprodursi.

Eccco: la disparità numerica delle falene femmine è esattamente come il vento che costringe l’albero a mutare: un evento costante e ripetuto nel tempo.

Un’ultima concezione deterministica allora sarà questa: in base alle carenze, o le sovrabbondanze del nostro ambiente abbiamo (più o meno consapevolmente) sviluppato delle capacità abbandonandone altre, come hanno fatto le talpe in anni di evoluzione rispetto agli occhi, oppure l’axolotl messicano, rispetto alla possibilità di terminare la sua metamorfosi.

Metti insieme il tuo patrimonio genetico. Aggiungi le privazioni e le abbondanze. Ora inserisci le doti che hai sviluppato e quelle che (lì dove ti trovavi) non ti sono servite. Crea un esclusivissimo mix di queste cose da far interagire con l’ambiente.

E shakera.

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