In natura nessun organismo si sviluppa al 100 per 100 del suo potenziale. Nessuno. Un po’ perchè nessuno sa qual’è il massimo del suo potere di sviluppo, e quindi è difficile dirlo, un po’ perchè l’ambiente può, per sua natura, favorire delle caratteristiche, ma a discapito di altre. Si potrebbe parlare allora del massimo sviluppo possibile in quel dato ambiente? Forse.
Facciamo un esempio.
Girovagando nei boschi è possibile osservare dei fenomeni, che ho sempre trovato particolarmente affascinanti. E questi fenomeni sono normalmente chiamati alberi. Rimarcare la profonda bellezza di questi organismi, mi sembra sempre superfluo. Spesso faccio fatica a capire come le persone non camminino col naso all’insù, come facciano a non fissarsi sulle geometrie, gli intricati ricami che la corteccia con gli anni, i secoli in alcuni casi, riesce a disegnare…
(corteccia di Platano – Platanus Acerifolia)
alle radici
(Radici di Ficus Magnolioide – Ficus Macrophilla)
a non sentire il fastidio davanti a due rami posizionati simmetricamente sul tronco, al modo in cui cicatrizzino i tagli e le ferite, ai nidi, boh, davvero faccio fatica. Ma la bellezza per quello che voglio dire, non è totalmente rilevante.
Dicevo: girovagando nei boschi è possibile notare cose strane, che divengono tali solo nel momento in cui ci fai attenzione. Mastodontici faggi con enormi tronchi, radici poderose e possenti rami; e di fianco, faggi altissimi ma sottili, dritti e con pochi rami quasi tutti posizionati verso la parte alta della pianta, radici quasi inesistenti:
Quasi dei pali.
L’ambiente sembrerebbe lo stesso (parliamo di pochi metri di distanza), ma in verità non lo è. Contano la vicinanza, l’ombra, il nutrimento e ultima (ma solo per motivi di suspance) la luce.
La spiegazione sta nel riuscire a pensare come un albero (fa molto zen, lo so):
“Se ragioni come come un albero, sai che la cosa di cui hai un bisogno vitale è sicuramente il sole, la luce; la penombra va anche bene, ma andrebbe benissimo se tu fossi un muschio o una felce, se fossi un lichene non ne parliamo. Ma sei nato faggio, quindi il tuo destino è un altro; ci sei tu Piccolo Faggio! Sei nato e cresciuto in un ambiente dove faggi secolari avevano già occupato tutto, possenti divoratori di risorse e luce. Sei appena nato e devi già correre. Il tuo DNA conosce una semplice equazione:
No luce = no vita.
E sei costretto a fare una scelta. La vuoi la luce? Non perdere tempo a diventare possente. Non hai bisogno di un tronco di un diametro esagerato. Hai bisogno di altezza. Muoviti e raggiungi il possente faggio, PRIMA di morire.”
Possiamo dire allora che Grande faggio, sia sviluppato e Piccolo Faggio no?
Sappiamo solo che in quelle condizioni, l’unica possibilità di sviluppo era diventare esili, ma altissimi. pochi rami (almeno per la maggior parte dell’altezza del tronco) e con poche radici. Non sappiamo se e quanto Grande Faggio ti stia privando dei nutrimenti. Ma magari hai la fortuna che volpi e tassi ti stiano utilizzando come casa. E allora l’energia ti arriva da loro, con i loro rifiuti, magari qualche volta muoiono nei tuoi pressi e quindi sostituiscono il poco che hai, con una sovrabbondanza di elementi chimici. Sei tu che avrai il compito di sfruttarli per il narcisistico bisogno di essere grosso, o per la necessità di essere alto. E illuminato.
Un po’ come la parabola dei talenti, ma versione botanica.
Questa era la parte sistemica, diciamo la cornice, il contesto.
Vediamo ora l’individuo, il singolo.
Una caratteristica che trovo particolarmente interessante sono le foglie.
Hai mai sentito dire che “in autunno, ogni foglia è un fiore?” NO? Bene, guarda qui
Oppure qui
Meravigliosi laboratori in miniatura. Entra luce, esce ossigeno e nutrimento.
Spesso è possibile trovare piccoli alberi (che l’occhio attento del bonsaista riconosce come la pianta che diventerà un interessante albero in vaso), con delle graziose e piccole foglie ben proporzionate alla grandezza della pianta. Robuste nella loro piccolezza. Il bonsaista che ne è profondo e rispettoso amante, sa riconoscere che “quella” sarà la pianta che poi trasformerà.
Una cosa che potrebbere succedere (più all’amatore che non all’esperto a dire la verità) è che dopo qualche mese, tutta la straordinaria proporzione tra tronco, foglie e rami, vada perduta: le foglie divengono enormi, dando un senso di sproporzionato.
(NB: quando parlo di “sproporzione”, intendo che ciò che stai osservando, non collima con quell’allenata sensibilità in materia, che hanno anche chef stellati e critici d’arte: coloro che conoscono “IL CANONE DI INDISCUTIBILE GIUSTEZZA di QUELLA COSA” e soffrono moltissimo quando le cose non aderiscono perfettamente a QUEI canoni).
Gli alberi sono intelligenti e soprattutto sanno adattarsi e si sa che “in natura vince la specie che meglio sa adattarsi all’ambiente, mica la più forte“.
L’alberello in questione all’improvviso si trova a ricevere molto più dell’acqua a cui era abituato nel suo ambiente originario, e può quindi cessare di tenere imbrigliate le proprie foglie lasciandole crescere.
Quindi: l’ambiente, nella sua infinite serie di manifestazioni e variabili, influenza in maniera diretta, sempre e comunque, gli organismi che lo popolano: mutano le forme, le combinazioni di colori, le grandezze, le abilità. In alcuni casi le trasformazioni hanno un lasso di tempo che è generazionale, in altri casi richiedono più tempo.
Gli individui che subiscono tale influenza a loro volta influenzano l’ambiente che a sua volta influenza gli individui che a loro volta, ecc ecc e avanti cosi per sempre. Dall’inizio e per sempre.
Ma un dubbio mi assale: e si, perchè un ambiente, da cosa è formato, composto, combinato? Temperatura, presenza o meno di sole, acqua, umidità, fonti di calore, terra, rocce, vulcani e potrei continuare per qualche ora; assieme a queste “caratteristiche“, ci sono anche gli organismi, la vita.
Fin qui, mi pare una faccenda abbastanza assodata. Claudio Capone ce l’avrà detto un milione di volte.
Di la verità… non lo sai chi è Claudio Capone….
Facciamo come esempio un bosco e immaginiamo che ci vivano esclusivamente: faggi, edere, giaguari e libellule.
Quindi l’ambiente bosco è costituito da questi organismi.
Se “il bosco” noi lo osservassimo con gli occhi di un faggio, potremmo accorgerci dell’edera, del giaguaro e della libellula: questi fanno parte del bosco e sono quindi “il bosco” se visto con gli occhi del faggio. Se invece assumessimo l’ottica del giaguaro, ci accorgeremmo che il bosco è formato da faggi, edere e libellule. E cosi via per per l’edera e le libellule.
Se diciamo che “il bosco” influenza l’individuo faggio, stiamo dicendo che il faggio è influenzato da edere, giaguari e libellule.
Se diciamo che “il bosco” influenza l’individuo giaguaro, stiamo dicendo che il giaguaro è influenzato da edere, faggi e libellule
Se diciamo che “il bosco” influenza l’individuo edera, stiamo dicendo che l’edera è influenzata da faggi, giaguari e libellule.
Se diciamo che “il bosco” influenza l’individuo libellula, stiamo dicendo che la libellula è influenzata da giaguari, faggi ed edere.
“L’ambiente influenza l’individuo“, che significato assume? Vuol dire che gli individuI, influenzano l’individuO? Ma il faggio che osserva, è a conoscenza che anche lui fa parte del bosco? Quindi la conclusione potrebbe essere:
Se diciamo che “il bosco” influenza l’individuo faggio, stiamo dicendo che il faggio è influenzato da edere, giaguari, libellule e FAGGI.
Quindi cos’è il bosco? Cos’è l’ambiente?
Adesso con un piccolo sforzo immagina che un albero sia una persona e il bosco il suo ambiente, la sua famiglia.
Come agisce l’ambiente su quella persona? come influenza? cosa da? cosa toglie? Come riesce l’individuo influenzato, ad influenzare a sua volta ciò che lo influenza?