È da quando Darwin si è posto la domanda che gli studiosi cercano una risposta.
Ma perché le zebre hanno le strisce? Anni e anni di evoluzione e loro fanno ancora bella mostra su questi strani animali.
Le ipotesi sono diverse, e a me ne piacciono sostanzialmente 2:
- non fanno avvicinare le mosche (tze tze);
- quando sono vicine, in branco, per un leone che attacca è complicato capire dove inizi una zebra e finisca l’altra: potrebbe essere che tale stratagemma metta il famelico felino nella condizione di capirci ben poco.
Equus quagga boehmi (dovrebbe)
Glossina Wiedemann
Io credo in entrambe le teorie.
Idem per le giraffe: alte fino a 4,5 metri hanno un collo di due. Lasciamo stare il miracolo di come riesca a tenersi dritto. Anche qui due teorie:
- A forza di allungare il collo per brucare (o forse il termine “brucare” si riferisce solo all’erba?) le foglie più tenere degli alberi, il collo è rimasto allungato: quindi si saranno ingigantite le vertebre, o ne saranno nate delle nuove. Dimenticavo la possibile espansione dei dischi intervertebrali. Molte, molte vertebre nuove. E questo lo sostiene Lamarck. Il che mi porta a credere che il figlio di un fabbro è il figlio di un fabbro, e avrà il muscoloso braccio paterno che gli viene donato per bontà divina già muscoloso, col polso rigido e dei calli da spavento. Ah….e dimenticavo: la sapienza di saper forgiare il metallo. E non dimentichiamo le donne giraffa della birmania. Attendo con ansia il momento in cui cominceranno a nascere figli giraffa.
- La seconda: un bel giorno una giraffa nasce con un paio di vertebre in più: crescendo ha un portamento elegante, l’equivalente di una velina dei giorni nostri. Alta, bella e dal portamento sinuoso. Le altre giraffesse lo guardano, lo bramano, e il nostro giraffo inizia ad accoppiarsi. E si accoppia e si accoppia. È in effetti il più bello del branco e ha il coefficiente di figaggine esageratamente più alto dei suoi colleghi dal collo corto. A forza di accoppiarsi e di fare figli, ne sarà uscito uno con il collo come il suo o no? E tutte le comari giraffe che guardandolo esclameranno le loro meraviglie sul cucciolo più bello del branco (se le giraffe fossero state abruzzesi avremmo sentito il cinguettio delle nonne giraffe “la giraffa inzuccherata di ‘sta casa!!!” con occhi a forma di cuore, ardore misto ammirazione misto soddisfazione e sentimento). Il cucciolo rockstar cresce, le altre giraffe groupie lo adorano, lui si accoppia. Ed è cosi che sono nate le giraffe come le conosciamo oggi.
Donna Giraffa in Birmania
Giraffa camelopardalis
Aveva ragione Freud quando dice che tutto ruota intorno al sesso. Evoluzione compresa.
Non so se sia la faccia di Lamarck a renderlo antipatico o la sua immagine cosi aristocratica
ma ho sempre preferito Darwin.
Faceva più nonno che aveva voglia di spiegarti le cose: immagino (con non poca invidia) i nipoti di Charles davanti al camino che chiedono “nonno, nonno… ci racconti delle tartarughe giganti delle Galapagos?
“Nonno nonno, ci racconti delle orchidee che somigliano ad uccelli?”
“Nonno nonno, ci spieghi come hai tirato fuori la teoria dell’evoluzione guardando i fringuelli?”
i fringuelli di Darwin
e cose cosi.
I miei amici giuocavano al giuoco del calcio e io pensavo se tifare per Darwin o Lamarck. Fuori dai giochi rimaneva Linneo a cui va la mia immutata ed imperitura fede.
Maledetti schizoidi che non siete altro.
Oggi mi chiedo se effettivamente il concetto di epigenetica (come cita wikipedia:
dal greco επί, epì = “sopra” e γεννετικός, gennetikòs = “relativo all’eredità familiare”) si riferisce ai cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo. Infatti è la branca della genetica che studia tutte le modificazioni ereditabili che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del DNA (soprattutto con riferimento ai fenomeni ereditari a livello cellulare, meno a quelli trans-generazionali, dal genitore al figlio).
abbia un senso o sia solo davvero un mito.
Per chi legge: sappiate che andando avanti non troverete alcuna risposta “certa”: solo considerazioni di chi ha deciso di prendere in considerazione “l’altra campana”, con la stessa difficoltà di un vegano che prenda in considerazione l’idea che forse la carne e gli altri derivati animali, non sono poi l’origine di ogni male terreno.
Le caratteristiche familiari
Marcus Pembrey e colleghi osservarono nello studio “Overkalis”, che i nipoti dei nonni paterni degli uomini svedesi, esposti durante la preadolescenza alla carestia del diciannovesimo secolo, avevano meno probabilità di morire di malattie cardiovascolari; se il cibo era stato abbondante allora la mortalità causata dal diabete nei nipoti aumentava, suggerendo che ciò fosse dovuto ad una eredità epigenetica trans generazionale[9]. L’ effetto opposto si osservò per le femmine: le nipoti dei nonni paterni che subirono la carestia in grembo (e quindi quando le cellule riproduttive erano già formate) avevano vita più corta della media[10].
Uno studio pubblicato su Nature Neuroscience dal team condotto dalla Dott.ssa Mansuy e dai ricercatori del Brain Research Institute di Zurigo, suggerisce che alcune esperienze traumatiche, sia di natura psicologica che affettiva, potrebbero essere trasmesse alle generazioni successive.
La ricerca ipotizza che grazie all’eredità epigenetica si potrebbe essere in grado di trasmettere l’esperienza stressante alla generazione successiva, in particolare in condizioni di schizofrenia, disturbo bipolare e obesità.
La ricerca è stata condotta sui topi, ma gli autori ipotizzano che i risultati ottenuti possano valere anche per l’uomo. In particolare la Dott.ssa Mansuy ricorda come ci siano malattie, come il disturbo bipolare, che si tramandano in famiglia nonostante non siano riconducibili ad un particolare gene.
“…Lo studio ha rilevato che i microRNA, piccole molecole endogene di RNA a singolo filamento, sono in grado di alterarsi in situazioni di stress, e di trasferire la memoria di situazioni traumatiche e stressanti trasmettendo l’informazione alla progenie”.
Per identificare il meccanismo sono stati messi a confronto topi adulti, esposti a condizioni traumatiche nei primi anni di vita, con altri topi non traumatizzati. I ricercatori hanno studiato il numero e il tipo di microRNA nei roditori traumatizzati scoprendo così che lo stress traumatico aveva alterato – per eccesso o per difetto – la quantità di numerosi microRNA sia nel sangue, che nel cervello che nel liquido spermatico; modificazioni che alterano l’attività dei geni per far fronte a difficoltà ambientali.
Gli studiosi hanno osservato che i topi traumatizzati modificavano il loro comportamento: perdevano la naturale avversione agli spazi aperti e alla luce e mostravano segni di depressione. Caratteristiche che tramite lo sperma venivano trasferite alla prole fino alla terza generazione; anche se tali esemplari non subivano stress o traumi manifestavano cambiamenti sia nei livelli di insulina che di zuccheri nel sangue che nei comportamenti.
Il gruppo di ricercatori ha identificato specifici microRNA che vengono prodotti non solo in presenza di eventi traumatici, ma anche in situazioni di stili di vita inappropriati quali l’abuso di cibo, lo scarso esercizio fisico, o la mancanza di cibo per carestia.
In base alla ricerca suddetta Moshe Szyf della McGill University of Montreal dice che:
“Studi di questo tipo evidenziano l’idea che le esperienze temporanee di una generazione potrebbero influenzare il comportamento delle generazioni successive, anche se non sono mai state esposte alla stessa esperienza; se questo è vero anche negli esseri umani ciò ha immense implicazioni morali, sociali e politiche”.
E la Mansuy riassume:
“Siamo stati in grado di dimostrare per la prima volta che le esperienze traumatiche influenzano il metabolismo a lungo termine, che i cambiamenti indotti sono ereditari e che gli effetti del trauma ereditato persistono sul metabolismo e sui comportamenti psicologici fino alla terza generazione”.
La conclusione di Mansuy è che i condizionamenti ambientali lasciano tracce nel cervello, negli organi e nei gameti, attraverso i quali quelle tracce vengono trasmesse alle generazioni successive.
In quest’ottica sembrerebbe quindi che le giraffe abbiano davvero potuto letteralmente “creare e tramandare” quel collo.
Possiamo creare qualcosa e trasmetterla ai nostri figli.
La cosa mi fa tremare e non poco.
L’idea di quello che volevo scrivere era un’altra anzi tutt’altro: ovvero rimarcare la difficoltà che molte persone vivono una volta terminata la psicoterapia, il proprio cammino personale nel riamalgamarsi alla propria famiglia di origine.
Mi viene in mente che le zebre magari non si rotolano nel fango: cosa che invece fanno gnu e bufali come una sorta di maschera di bellezza (il fango soffoca i parassiti e poi una volta asciugato il bufalo in questione gratta via fango ed ospiti indesiderati).
Bubalus Bubalis.
Le giraffe non lo so, ma magari cambiando e mutando la propria mentalità potrebbero riuscire addirittura ad imparare cose nuove che nella propria famiglia non erano concesse. Ci si potrebbe addirittura riprendere il diritto di vedere cose nuove, di apprendere cose nuove o di vedere le cose per quelle che sono: le famiglie hanno miti e leggende, ed è come se fossero dietro delle enormi lenti che volendo o meno, distorcono, omettono, rigirano, ribaltano, le cose della realtà. Sono i famosi “ma poi la gente che dice” per citarne uno.
Mi piace pensare alla dimensione trasformativa della psicoterapia: entri in studio come zebra e scegli se diventare giraffa: quello che trovi dopo è che la tua vecchia famiglia ti comincia a guardare in modo strano: d’altronde fino a qualche anno fa avevi le strisce e somigliavi ai cavalli: ora sei alto quasi il quadruplo e bruchi foglie fresche e tenere sulle cime degli alberi. La realtà non è cambiata ma cambia (con tutte le conseguenze del caso) come ti vedono e come tu vedi loro: consapevole, più in contatto, diciamo meno “uguali” al resto. I vincoli cosi non sono più automatici e hai la possibilità, ma temo diventi quasi un dovere, di allontanarti alla ricerca o di altre giraffe o di animali compatibili.
Cosi ad occhio sembrano tutti lati positivi: “mi stacco, mi evolvo, sono cambiato, NON SONO PIU’ PRIGIONIERO”. Il problema diventa che ad animale nuovo, corrispondono difficoltà nuove: ora le mosche ti attaccano, ora sei nettamente più visibile ai predatori.
Care zebre…ci vuole coraggio
Fonte:
http://www.medicalnewstoday.com/releases/284410.php
Saab, B. J., Mansuy, I. M. (2014). Neuroepigenetics of memory formation and impairment: The role of microRNAs. Neuropharmacology, 80, 61-69.
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2014/10/microrna-traumi-generazioni/